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Salvatore Vinci

Per il giudice Rotella la strada da percorrere per scoprire l'identità del mostro doveva comunque passare per l'omicidio del 1968. Nell'istruttoria di quel delitto, una pagina era stata tralasciata, quella che Rotella titola: "Salvatore Vinci". In quella pagina Stefano Mele, ritrattando le accuse contro Francesco Vinci, aveva detto: "Anche Salvatore era un poco di buono. In Sardegna la moglie gli morì con il gas, ma anche lì il bambino fu salvato. Lui aveva la macchina a quattro ruote". Il particolare della macchina non è da poco. Non si era mai capito infatti come Stefano e gli altri potessero essere arrivati da Signa sul luogo del delitto e poi ripartire, perché nessuno aveva un'auto. Salvatore Vinci era l'unico ad averne una. Rotella suppone che Stefano abbia indirizzato le accuse contro Francesco Vinci per allontanare i sospetti da Salvatore che pure in un primo momento aveva accusato. Si torna a rivedere il ruolo di Salvatore Vinci nel delitto del '68. Fu Salvatore a cominciare a dirigere i sospetti sul fratello Francesco. Sta di fatto che Stefano Mele proprio dopo le insinuazioni che Salvatore aveva suggerito agli inquirenti, ritrattò le accuse contro Salvatore e piangendo gli chiese perdono. Da quel momento anche lui cominciò ad accusare Francesco. Perché Salvatore aveva tanto ascendente su Stefano? Correva voce, e la stessa Barbara se ne vantava, che Natalino non era figlio di Stefano, ma di Salvatore. Ma questo da solo non era un motivo sufficiente. Mele cercava di nascondere il vero motivo: "Se questo esisteva - scrisse il giudice Rotella - doveva essere assai più forte dell'odio, della paura e del sacrificio degli affetti familiari mostrati da Stefano". Il motivo delle bugie di Stefano Mele fu scoperto quando si fece luce sulla sconvolgente personalità di Salvatore Vinci: era la vergogna. Con difficoltà, ma solo nel 1985, Stefano Mele confessa a Rotella di avere avuto insieme a sua moglie Barbara rapporti eterosessuali, ma anche omosessuali con Salvatore Vinci. Non solo: aggiunse di essere stato con lui, con la moglie e con il figlio Natalino alle Cascine dove Salvatore faceva congiungere sua moglie con altri uomini. Solo quando nel 1985 Stefano Mele ha il coraggio di confessare al giudice la verità dei rapporti sessuali suoi e della moglie e si libera di quel peso, ritorna 17 anni dopo a ripetere quella che, come uno sfogo, fu la prima versione dei fatti data la notte stessa del delitto: "Con me c'era Salvatore Vinci". Rotella va a rivedere l'alibi di Salvatore Vinci per la notte del delitto del 68. Salvatore aveva detto di avere passato il tempo a giocare a biliardo con due amici, un certo Nicola Antenucci e Silvano Vargiu, suo servo pastore, nonché suo amante. Antenucci già allora aveva detto di essersi sbagliato di giorno e fu scartato come teste. Restava Silvano Vargiu, il quale alla fine ammise che aveva detto solo quello che Salvatore gli aveva chiesto di dire. Ma c'è di più: quando Stefano Mele, due giorni dopo il delitto del '68, fu condotto sui luoghi per la ricostruzione dei fatti, arrivato davanti alla casa alla cui porta Natalino aveva suonato, apparentemente si sbagliò e indicò la casa accanto. Allora gli investigatori pensarono a un'imprecisione di Stefano. Invece la casa indicata era proprio quella di Silvano Vargiu, dell'uomo, insomma, che aveva fornito il falso alibi a Salvatore Vinci. Era Vargiu l'ombra, lo sconosciuto, di cui aveva parlato Natalino? E un altro indizio cominciò a pesare su Salvatore: poco prima che lasciasse il suo paese di Villacidro in Sardegna, qualcuno aveva rubato a un suo anziano parente una Beretta calibro 22 comprata in Olanda. L'ipotesi di Rotella era che tra i Mele e Salvatore Vinci, che doveva loro molti soldi, fosse nato un accordo: Salvatore li avrebbe liberati definitivamente di Barbara e loro avrebbero azzerato il suo debito. Salvatore avrebbe preteso la presenza di Stefano per farlo poi passare come unico colpevole. I Mele avrebbero mandato due loro rappresentanti, Giovanni e Piero Mucciarini, a controllare che Salvatore non rubasse il mezzo milione che pochi giorni prima Barbara aveva preso e che speravano di recuperare quella notte stessa nella Giuletta di Antonio Lo Bianco. Nel giugno del 1985 Stefano Mele dichiara a Rotella che era stato Salvatore Vinci a prospettare l'idea di uccidere Barbara. La donna, nauseata dai loro rapporti omosessuali, non si concedeva più ai due uomini. Salvatore non la sentiva più sua. Mele racconta che Salvatore aveva organizzato tutto; aveva anche deciso che Stefano doveva prendere l'arma per ultimo, in modo da fargli restare i residui della polvere da sparo. Dice che quella notte per primo ha sparato Salvatore, poi Giovanni Mele e alla fine lui, Stefano, che però aveva mirato in alto per non colpire il bambino. La pistola, dice Stefano, apparteneva a Salvatore Vinci. Salvatore Vinci viene arrestato per la vicenda della prima moglie, Barbarina Steri, morta asfissiata con il gas nel 1961 in Sardegna. Rotella era convinto che la giovane donna non si fosse suicidata, ma che fosse stata assassinata dal marito. Nell'Aprile del 1988, tre anni dopo, il processo per la morte di Barbarina si apre nell'aula della corte di assise di Cagliari, competente per territorio. E' a tutti evidente che il fine reale dell'accusa non era tanto quello di far condannare Salvatore Vinci per la morte della moglie avvenuta 28 anni prima, quanto quello di dimostrare, attraverso una condanna, che l'uomo era in grado di uccidere e che, quindi, poteva essere teoricamente anche il "Mostro di Firenze". Fu chiamato a testimoniare anche il figlio Antonio, ormai adulto, che rifiutò di rispondere. Per tutta la durata dell'udienza figlio e padre si fissarono con odio, ma nessuno dei due disse niente. Tanto odio era probabilmente causato dal fatto che Salvatore non considerava Antonio suo figlio, ma lo credeva il frutto del rapporto tra Barbarina e il suo amante. Il ritratto di Vinci era impressionante, ma era il ritratto del "Mostro di Firenze"? La ricostruzione del presunto omicidio della moglie Barbarina, a quasi 30 anni di distanza, risultò molto problematica. Vinci fu rilasciato. Da Cagliari andò per qualche giorno a Villacidro. Poi fece perdere le proprie tracce. Secondo alcuni parenti era andato prima in Venezuela, poi in Spagna, precisamente in Andalusia. Nel 1995 ritornò per qualche mese a Villacidro, accompagnato da una donna spagnola. Poi se ne persero le tracce. Qualche tempo dopo giunse la voce - diffusa dai familiari - che lì era morto, ma la notizia non poté mai trovare una conferma.

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