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Alcune ipotesi alternative

Non tutti gli inquirenti e i giornalisti che si sono occupati del caso concordano sulla giustezza della sentenza di condanna a carico dei compagni di merende, né sull'ipotesi della pista esoterica oggi considerata - ufficialmente - la via per la verità definitiva. Molti avanzano dubbi in merito al fatto che a commettere i delitti della serie possano essere state tre personalità del tipo dei compagni di merende: l'avvocato penalista Nino Filastò, difensore di Mario Vanni, fa notare come i delitti del mostro necessitassero di una freddezza, lucidità, prestanza fisica e abilità manuale con le armi che difficilmente il Pacciani, il Vanni e il Lotti avrebbero posseduto. Le ipotesi alternative tendono a mettere in luce le ampie e reiterate contraddizioni e inesattezze intrinseche alle dichiarazioni del principale collaboratore Giancarlo Lotti, nonché ad altre incongruenze evidenti relative all'ipotesi della setta satanica. Ad esempio, in occasione del delitto dei due turisti tedeschi, Meyer e Rüsch, Lotti avrebbe testimoniato di essere stato costretto dal Pacciani a esplodere i sette colpi. Risulta che i sette proiettili calibro 22 (di cui furono repertati solo quattro bossoli Winchester serie H) hanno centrato con estrema precisione i corpi dei due giovani (uno dei quali, peraltro, si muoveva all'interno del veicolo), in contrasto con il fatto che Lotti non aveva mai usato un'arma da fuoco prima di quell'occasione. Tra le ipotesi alternative c'è quella di Nino Filastò, esposta nel libro Storia delle merende infami (Maschietto Editore, Firenze, 2005). Secondo l'avvocato fiorentino il mostro di Firenze sarebbe una persona rimasta costantemente a contatto diretto con le autorità giudiziarie, probabilmente un poliziotto o un ex tutore dell'ordine. Difficilmente sarebbe infatti possibile, sempre secondo Filastò, rendere conto di tutta una serie di coincidenze ed eventi inusuali. Negli ultimi anni le indagini si sono incentrate su una possibile pista perugina, associata alla figura del medico Francesco Narducci, apertasi in seguito a una intercettazione telefonica che ha destato un nuovo interesse per il caso. Va altresì rilevato un certo "deficit" d'esperienza negli inquirenti dell'epoca (si trattava comunque del primo caso di omicidi seriali in Italia) che ha forse pregiudicato le indagini. Molti dei bossoli sparati dalla Beretta risultano mancanti o non repertati; alcune prove materiali (tra cui la piramide di pietra rinvenuta sulla scena del delitto del giugno 1981) sono state smarrite o non adeguatamente analizzate (si pensi solo al valore probatorio rappresentato dal ciuffo di capelli trovato tra le dita di Susanna Cambi, uccisa a Calenzano: un semplice esame del DNA avrebbe permesso di escludere molti sospettati). Sicuramente l'assenza di mezzi moderni come il computer (all'epoca di recentissima invenzione e di costo inaccessibile spesso anche per le forze dell'ordine) ha avuto il suo peso. Pare inoltre che, in sede di autopsia, non si sia provveduto a conservare campioni di tessuti delle vittime (rendendo così, di fatto, impossibile un confronto con eventuali resti umani trovati in possesso di sospettati). Le indagini si volsero fin dall'inizio contro persone sicuramente "sospettabili" e con un passato discutibile (pregiudicati per reati sessuali etc.), ma con poco o nessun punto in comune con il profilo psicologico del "mostro" tracciato dall'FBI, che, da solo, avrebbe permesso di escludere dal novero dei sospetti personaggi come i fratelli Vinci o i compagni di merende.

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