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Hanno sottovalutato le sue condizioni

Pavia. «Hanno sottovalutato le sue condizioni.» Questa l'analisi del criminologo romano Ruben De Luca: «Travolta dal suo senso di colpa.» «Non conosco il caso direttamente, ma da quello che ho letto e che mi avete spiegato, ho l'impressione che le condizioni psicologiche di Milena Quaglini siano state oggetto di una sottovalutazione da parte degli operatori del carcere. Per compiere un gesto estremo durante la detenzione e molto dopo una sentenza di condanna, un Serial Killer, ancor più se donna e rea confessa, doveva essere in un stato di profondissima depressione.» E' questa la prima valutazione del criminologo romano Ruben De Luca. De Luca, autore del recente volume «Anatomia del Serial Killer 2000» (Giuffrè Editore), uno dei testi criminologici Italiani più originali e completi e docente all'Università La Sapienza di Roma, proprio in questi mesi, stava iniziando a raccogliere documentazione sul caso di Milena Quaglini. Dottor De Luca, capita di frequente che un Serial Killer si tolga la vita durante la detenzione in carcere? «Il suicidio si verifica spesso tra i Serial Killer, specie tra le donne, che sono un universo particolare. Ma di solito, proprio queste non confessano, negano a oltranza, mentre la Quaglini lo ha fatto. Per quello che ho potuto capire, doveva essere in preda a un senso di colpa molto forte che probabilmente l'ha spinta al suicidio, e a una depressione provocata dall'impotenza nel non riuscire a conciliare le due parti che ha in sé, quella di tutti i giorni, apparentemente normale, e quella che la spinge ad uccidere. Parlerei, anche, di un desiderio di autopunizione provocato dal forte senso di colpa.» Nel suo libro lei ha catalogato i diversi generi di Serial Killer. Come avrebbe inserito la Quaglini? «Nella categoria dei Serial Killer per erotomania, tipica del sesso femminile, in cui la donna ricerca sempre un amore ideale senza mai trovarlo. Tant'è che uccideva le persone con cui aveva un rapporto. Persone che la deludevano, con violenze o altri comportamenti cinici. E' un modo atipico di omicidio, infatti molti studiosi non lo inseriscono tra quelli seriali.» Lei stava studiando il caso di Milena Quaglini: avrebbe immaginato una conclusione così tragica? «Sinceramente no. Ripeto, i Serial Killer, di solito, si uccidono prima di essere catturati, oppure subito dopo l'arresto per non affrontare il processo. Nel suo caso, immagino ci fosse una forma grave di depressione che, temo, è stata sottovalutata dagli operatori che con lei avevano i colloqui in carcere.» Lei crede che un Serial killer come la Quaglini sarebbe stato recuperabile psicologicamente? «Penso di no, ma lo dico in generale, ovviamente. La Quaglini viveva un perenne conflitto tra il suo mondo fantastico e ideale, e la realtà, conflitto che risolveva con il passaggio all'atto, scaricando la sua aggressività. Sono quindi scettico sulle capacità di recupero di casi del genere. E anche se non c'era perversione sessuale, sarebbe stato necessario un lavoro intenso, e dai risultati improbabili, di ristrutturazione cognitiva del soggetto.»

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