Marco Furlan, studente di fisica, fu arrestato prima di riuscire a prendere la laurea. La Corte di Cassazione, sempre l'undici Febbraio 1991, lo condannò a ventisette anni di prigione dopo che in primo grado la sentenza era stata di trent'anni. Furlan è accusato di essere, insieme a Abel, l'autore dei crimini costati la vita a quindici persone nel Veneto e rivendicati dal gruppo neonazista “Ludwig”. L'iter giudiziario fu lunghissimo perché interrotto da continui colpi di scena. Il quindici Marzo 1984, subito dopo l'arresto, Furlan tenta il suicidio in carcere cercando di impiccarsi, senza successo, alle inferriate della cella con il lenzuolo. Le perizie psichiatriche si susseguono. A Furlan, dicono gli psicologi, sono mancati da parte della famiglia gli affetti, la tenerezza, il calore umano e l'appoggio come elementi antropologici per strutturare la personalità. Con il risultato che, nelle varie tappe della sua evoluzione infantile, si sono fissate insicurezze, conflitti, comportamenti reattivi. Il quindici Giugno 1988 la Corte d'Assise d'appello di Venezia ordina la scarcerazione dei due complici per decorrenza dei tempi di carcerazione preventiva e ordina a Furlan il soggiorno obbligato a Casale di Scodosia, in provincia di Padova. Ma da lì l’uomo fugge proprio a ridosso della sentenza di terzo grado e si rende latitante per quattro anni. Nel Maggio 1996, però, la polizia lo rintraccia e lo arresta a Creta. Furlan è ancora detenuto. Di lui gli psichiatri dicono: "è caratterizzato da una situazione di generica inferiorità intellettuale data da conflitti psichici non risolti e anche da una dipendenza legata a simpatia, amore o stima rispetto al complice Wolfgang Abel".
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