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Maurizio Minghella, il "Mostro di Torino"

La carriera del killer seriale Maurizio Minghella, uno dei più feroci e crudeli assassini italiani, comincia con una condanna a vita nel 1982. Libero dopo 17 anni riprende a uccidere e, dal 2005, è tornato a essere definitivamente un ergastolano. Fa ginnastica tutte le mattine e sogna di essere trasferito in un istituto del Nord Italia, vicino alla famiglia. La sua storia parte da lontano e fa rabbrividire. Ma andiamo per ordine: Maurizio Minghella nasce a Genova nel 1958. E' un pugile dilettante e ama passare ore e ore all'obitorio per vedere da vicino i cadaveri e la disperazione dei familiari. E' considerato da tutti "minus habilis", la sua personalità si capisce fin da subito che è un po' particolare (eufemismi a parte...). Il padre è un uomo violento. Minghella assiste spesso alle percosse che sua madre deve continuamente subire; in un colloquio con gli psichiatri dirà di rammaricarsi per non averlo ucciso strangolandolo con una corda. Proprio durante questi anni così difficili "cova" nella sua mente il cancro della morte che, per lui, diventa un tamburo battente. Minghella ha bisogno di uccidere, perché quando ammazza si eccita. E le sue vittime sono le donne, in particolare prostitute. Ne uccide una dietro l'altra e più loro si agitano, cercando di fuggire, e più cresce in lui il desiderio sessuale. Gli omicidi iniziano il 9 aprile 1978 con la prima vittima, Anna Pagano, 20 anni, una prostituta "tossica". Viene ritrovata con il cranio fracassato, le gambe e la schiena ricoperte di scritte che alludono alle Brigate Rosse. Minghella ha seviziato la vittima conficcandole nella cavità anale una penna. Qualche mese più tardi è la volta di Giuseppina Jerardi, 23enne, trovata priva di vita all'interno di un'automobile. Passano undici giorni e il 19 luglio viene ritrovata Maria Catena Alba, detta Tina, di 14 anni. Il suo corpo nudo è legato a un albero e nelle analisi autoptiche si stabilisce che è morta per strangolamento. Il delitto più efferato di Minghella è, però, quello di Tina Motoc 27enne madre di un bambino di 2. Il capo della Omicidi, Marco Basile, davanti al cadavere maciullato della donna, non riesce a trattenere vomito e lacrime. La scia dei delitti sembra inarrestabile. Il serial killer continua a professarsi innocente. In carcere la sua condotta è ineccepibile: Minghella si comporta bene, è un tipo tranquillo, non dà problemi. Nel 1995 ottiene il "premio" della semilibertà. Può uscire nelle ore diurne per lavorare. Minghella trova lavoro come falegname nella comunità del Gruppo Abele di don Ciotti. Lì conosce una donna da cui avrà un figlio nel 1998. Si trova un appartamento dove poter andare a vivere con la sua nuova compagna. Sembra, dunque, che la sua esistenza, dopo la galera, sia davvero cambiata. Ma non è così. Nel 1996, Minghella si assenta sempre più spesso dal lavoro e, proprio in concomitanza di ciò, avvengono a Torino orrendi delitti di prostitute violentate e poi barbaramente uccise tra queste Loredana Maccario, strozzata con una corda da canotti nel proprio appartamento nel marzo del 1997. La polizia è costretta a riaprire l'indagine e il primo sospettato non può che essere lui. Nel 2003, dopo un'evasione durata qualche ora, il serial killer delle prostitute viene condannato all'ergastolo per l'uccisione di Tina Motoc, Fatima Didou, strangolata con il laccio di una tuta da ginnastica, e la 67enne Cosima Guido, condanna confermata l'8 giugno 2005 dalla Corte di Cassazione. Dicono che solo una donna sia riuscita a salvarsi dalla furia omicida di Minghella per un'intuizione psicologica. Il "mostro di Torino", infatti, sente la necessità di essere sempre gratificato sotto l'aspetto sessuale: la sua mascolinità non deve essere mai messa in discussione. La donna che riesce a mettersi in salvo gli dice: "Tu sei un vero uomo, vorrei essere la tua donna".

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