Tsutomu Miyazaki nasce in Giappone il 21 agosto del 1962 e viene giustiziato mediante impiccagione il 17 giugno del 2008 per aver ucciso, e poi mangiato, quattro bambine. Ma analizziamo i fatti in dettaglio: l’uomo, venuto alla luce prematuramente, soffriva di una deformazione permanente alle mani, che risultavano prive di polsi. Questo handicap gli impediva di piegare le mani e lo costringeva a muovere l'avambraccio per poterle ruotare. A causa di questa deformità il suo equilibrio mentale venne minato già nel periodo in cui frequentò la scuola elementare di Itsukaichi, e di conseguenza fu emarginato dai coetanei. Nonostante questi problemi diventò uno studente modello fino a quando il suo rendimento scolastico non subì un brusco calo quando iniziò a frequentare la Meidai Nakano High School. Questa repentina regressione non gli consentì di essere ammesso alla Meiji University. Invece di studiare inglese per potere a sua volta diventare un insegnante, come era nelle sue ambizioni, fu costretto a frequentare un college locale per diventare un semplice foto-tecnico. In quel periodo Tsutomu evitava le donne della sua età, probabilmente perché era fisicamente immaturo. Un compagno del liceo, ricorda che il suo pene era non più lungo di uno stuzzicadenti e poco più grosso di una matita. Nonostante ciò, possedeva appetiti sessuali al di sopra della media. Al college era solito scattare fotografie alla biancheria delle tenniste. Poi, una volta stufo della pornografia che ritraeva gli adulti, passò alle riviste con le ragazzine, poiché la legge giapponese vieta solo l'esposizione dei peli pubici e non quella degli organi genitali. Un pomeriggio di agosto del 1988, la piccola Mari Konno di 4 anni uscì di casa per andare a giocare da un'amica. Alle 23 passate, il padre, non vedendola tornare, ne denunciò la scomparsa alla polizia. Più o meno nello stesso momento, la bambina stava morendo strangolata. Iniziò così la serie di omicidi in cui Tsutomu Miyazaki, ne violentò e strozzò altre 3. La molla che fece scattare la sua follia omicida è forse riconducibile alla morte del nonno, avvenuta nel maggio 1988. Quella con il nonno era la sua unica relazione normale e il suo decesso fu un duro colpo per Tsutomu. In seguito l'assassino confessò di aver mangiato alcune delle sue ossa cremate, perché voleva incarnarsi in lui. Questa scomparsa, inoltre, estraniò definitivamente Tsutomu dalla famiglia e dalla vita: in seguito confessò di aver ucciso dei gatti, gettandoli nel fiume o nell'acqua bollente e di aver sgozzato alcuni cani con il filo di ferro. Ma procediamo per ordine: la prima, come già detto, vittima fu Mari Konno. Sei settimane dopo, l'assassino notò la piccola Masami Yoshizawa, di 7 anni. La persuase a salire in macchina e raggiunse con lei le colline. La strangolò, la spogliò e abusò del cadavere. Quando il corpo della ragazzina ebbe una contrazione automatica, Tsutomu corse alla macchina terrorizzato, lasciando la salma a meno di cento metri da dove giacevano i resti della sventurata Mari, non ancora scoperti dalla polizia. Nonostante fosse sconvolto dall'accaduto, Tsutomu uccise ancora. La terza fu Erika Namba, attirata anche lei dentro l'automobile. Il maniaco la convinse a spogliarsi sul sedile posteriore e cominciò a scattarle delle fotografie. Erika continuava a piangere, così Tsutomu la afferrò per la gola e si mise sopra di lei per schiacciarla mentre la soffocava. Una volta uccisa la avvolse in un lenzuolo, la mise nel bagagliaio e si liberò dei vestiti buttandoli nel bosco adiacente. Dopo qualche chilometro decise di sbarazzarsi del cadavere buttandolo nel bosco e così fece. Questa volta però il corpo di Erika venne trovato il giorno seguente. La polizia non faticò molto a collegare questo assassinio alla sparizione di Mari Konno e Masami Yoshizawa, tanto più che le loro famiglie continuavano a ricevere telefonate mute o inquietanti cartoline. In particolare, quella ricevuta dalla famiglia Namba, composta da lettere tagliate dai giornali, recitava: "Erika.Tosse. Gola. Riposo. Morte." La mattina del 6 febbraio 1989, mentre si recava al lavoro, il padre di Mari Konno trovò una scatola sulla soglia della sua abitazione. Conteneva della cenere, frammenti ossei, dodici denti da latte, foto di biancheria intima infantile e un foglio di carta con la scritta: "Mari. Ossa. Cremate. Investigate. Prove." Miyazaki era tornato sul luogo del delitto e aveva rimosso i resti. Successivamente, ai genitori della bambina arrivò anche la seguente lettera:
"Prima che me ne rendessi conto il suo corpo stava diventando rigido. Volevo incrociargli le braccia sul petto ma non riuscivo a muoverle. Ben presto numerose macchie rosse si manifestarono su tutto il corpo, rassomigliavano a dei timbri. Sembravano tante bandiere giapponesi. Prima pareva rigido, ma ora sembrava come se fosse gonfio d'acqua. E puzzava. Puzzava tremendamente come mai nella vostra vita abbiate sentito."
Tsutomu evitava ormai di andare al lavoro per rimanere a casa a guardare i suoi videotape. Il 1 giugno, notò delle bambine che stavano giocando vicino ad una scuola elementare e costrinse una di loro a togliersi le mutandine. Mentre la stava fotografando, dei passanti si accorsero di lui, mettendolo in fuga. Nonostante questo, il killer tornò a colpire solo 5 giorni dopo. Il 6 giugno, mentre camminava in un parco, si accorse di Ayako Nomoto, una bimba di 5 anni che stava giocando in solitudine. Le chiese di posare per delle fotografie, prima all'esterno e poi all'interno della sua auto. Mentre le porgeva dei dolci, Ayato fece un commento sulle sue mani deformi. Irritato, Tsutomu indossò un paio di guanti di gomma e la afferrò per la gola. La piccina cominciò a tirare dei calci per difendersi, ma cedette dopo qualche minuto. Per sicurezza, la imbavagliò e le legò le mani, poi avvolse il corpo in un lenzuolo e lo mise nel bagagliaio. Questa volta portò a casa il cadavere, fermandosi prima in un video shop per affittare una telecamera. Una all’interno dell’abitazione, la spogliò e la depose su un tavolo a gambe aperte. Cominciò poi a riprenderla mentre si masturbava. Due giorni dopo, l'odore del corpo che iniziava a decomporsi divenne insopportabile, perciò Tsutomu le tagliò le mani, la testa e i piedi, in modo da renderne impossibile l'identificazione. Nascose i resti in un bagno pubblico e, tornato a casa, arrostì le mani, i piedi e la testa e ne mangiò le carni. Le ossa rimaste le nascose in un adiacente boschetto, teschio compreso. Bruciò i vestiti, il lenzuolo e il sacco che li aveva contenuti. Nonostante tutte queste precauzioni, le spoglie di Ayako vennero ritrovate e identificate. La sanguinosa carriera di Tsutomu venne finalmente interrotta, il 23 Luglio 1989, da un comune cittadino che grazie alla segnalazione di una delle figlie, lo sorprese in flagrante mentre stava fotografando un’amichetta denudata. Arrestato sotto l'imputazione di "costrizione di minori a commettere atti osceni", dopo 17 giorni, l'assassino si decise anche a confessare tutta la serie dei suoi omicidi. Una volta arrestato la polizia trovò in casa sua circa seimila videocassette porno e splatter, nonché numerosissime a cartoni animati. Mescolate a questa collezione vi erano poi filmati e foto delle vittime. Il processo iniziò il 30 marzo 1990, durante il quale l'imputato intervenne con affermazioni prive di senso. Egli scaricò la responsabilità delle sue atrocità su un uomo-ratto suo alter ego, un personaggio che disegnò spesso sotto forma di fumetto per la corte. A partire dal 1990 Miyazaki è sempre rimasto rinchiuso in carcere mentre la Prefettura di Saitama ordinava di sottoporlo a valutazioni psichiatriche protrattesi per ben sette anni. Questi gruppi di medici gli diagnosticarono una forte schizofrenia o dei disturbi dissociativi dell'identità. Nonostante questa valutazione il tribunale distrettuale di Tokyo ritenne che l'imputato era ancora in grado di comprendere la gravità delle azioni che stava commettendo pertanto, il 14 aprile 1997, lo condannò a morte mediante impiccagione. Il 28 giugno 2001 l'Alta Corte di Tokyo ha confermato la sua condanna e il 17 gennaio 2006, la Corte suprema di giustizia, ha ribadito il verdetto. Miyazaki, in alcuni scritti lasciati, ha definito i delitti commessi "un buon lavoro" e non si è mai pentito né ha mai chiesto scusa.