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Theodor John kaczynski - Unabomber

Il 3 Aprile 1996 in una sperduta capanna del Montana, vicino all’inospitale Baldy Mountain veniva arrestato Theodor John kaczynski. Dopo diciotto anni di inutili tentativi e di umilianti insuccessi gli agenti dell’ Fbi si dicevano convinti di aver messo fine alla lunga scia dei delitti dell’eco terrorista Unabomber. Si chiudeva così quella che era stata la più lunga e sofferta caccia all’uomo in America. Centinaia di poliziotti, decine di ispettori, intere città mobilitate per catturare il pericolo numero uno del Paese. Dal 1978 al giorno della cattura Unabomber aveva compiuto sedici attentati dinamitardi, uccidendo tre persone e ferendone altri ventitrè, molte con gravi mutilazioni, seminando terrore in tutti gli Stati Uniti. Nell’organizzazione dei suoi delitti mai un errore, una leggerezza, un dettaglio che potesse tradirlo. La tecnica sempre identica: un pacco bomba, diventato negli anni sempre più elaborato e potente. Mai un’azione diretta, un rischio, uno scontro con le sue vittime. Un uomo solo, in guerra col mondo, animato da un odio profondo, incontenibile per la tecnologia. Un uomo ossessionato dal progresso, dal predominio delle macchine, dallo svuotamento del ruolo dell’individuo. Un odio così inquietante e così devastante da trasformarlo in assassino. Ma allo stesso tempo un odio tale da metterlo fuori dagli stereotipi e dagli schemi tradizionali della delinquenza e del terrorismo. Gli obiettivi e le attenzioni di Unabomber si rivolsero principalmente verso alcune categorie: il mondo accademico, i docenti di discipline scientifiche in particolare, e il mondo delle compagnie aeree. Colpiti da questo orientamento gli investigatori dell’Fbi coniarono, per identificarlo, un nome in codice: Unabomb (Un per università; a per airlaine, compagnia aerea; e quindi bomb). E per i mass media divenne immediatamente l’imprendibile Unabomber, l’uomo che si prendeva gioco della più famosa polizia del mondo. In realtà, gli obiettivi e le vittime di Unabomber sono state negli anni diversi: Scienziati, ricercatori, informatici, alti funzionari. Legati tuttavia da un filo comune: l’impegno nello sviluppo delle nuove tecnologie e l’indifferenza per i problemi ecologici. Non a caso nel 1985 l’uccisione di un pacco bomba uccide Hugh Scratton, il proprietario di un negozio di computer; nel 1994 Thomas Mosser, dirigente di una agenzia pubblicitaria associata alla compagnia petrolifera Exxon Valdez responsabile della marea nera in Alaska (1989), muore aprendo un pacco speditogli a casa Infine, nel 1995, sempre un pacco inviato all’Associazione forestale della California toglie la vita al suo presidente Gilbert Murray. Negli anni criminologi e cacciatori di serial killer fecero le più diverse ipotesi sulle caratteristiche, il profilo e la provenienza di questo solitario terrorista. Vennero proposti improbabili identikit. Ma l’arresto di Theodore J. Kaczynski, l’uomo che l’Fbi indica come Unabomber, la diffusione della sua identità e della sua storia personale, andarono onestamente al di là della più fervida immaginazione. Teddy John era nato a Chicago il 22 maggio 1942 da una famiglia di immigrati polacchi. Né il padre né la madre ebbero la fortuna di frequentare il college. I loro sforzi, per reazione, si concentrarono sull’educazione dei figli: Theodore e il più giovane David. A sei anni un test di intelligenza disse che Teddy era un piccolo genio. A 16, dopo il diploma, era già ad Harvard. A 20 otteneva la laurea. A 25 il dottorato in Matematica alla University of Michigan a Ann Arbor. La sua tesi fu premiata con un riconoscimento nazionale. Nello stesso anno, 1967, otteneva una prestigiosissima posizione alla University of California a Berkley nel dipartimento di scienze matematiche, considerato in quel periodo il miglior istituto del Paese. Ma inspiegabilmente dopo due anni Theodore J. Kaczynski, astro nascente degli studi di matematica pura, con una lettera di appena tre righe rassegnava le sue dimissioni. Non una spiegazione, né un motivo plausibile. Si chiudeva così con un gesto tanto anonimo quanto imprevedibile, la carriera del giovane professor Kaczynski: E cominciava una nuova esistenza. Con un prestito ottenuto dalla madre Wanda e dal fratello David, Theodore, acquista un terreno, circa sei ettari. Da allora quel pezzo di verde, nei boschi del Montana, sarà la sua riserva. Per gli abitanti di Lincoln, Ted diventerà presto l’eremita dei boschi. Un eccentrico ma innocuo signore. Una capanna di pochi metri quadrati, costruita artigianalmente diventerà il suo unico rifugio. Senza luce, senz’acqua corrente, Kaczynski rifiuterà per il resto della sua vita ogni compromesso con il progresso. Anche durante i severi inverni del Montana, quando la temperatura scende per molti mesi sotto lo zero, resterà fedele al suo nuovo credo, il rifiuto delle nuove tecnologie. E’ qui in queste condizioni che, secondo l’Fbi, nasce L’Unabomber. Chiuso nel suo isolamento perfetto, organizzerà in uno stato di incontrollata follia i suoi attentati. E l’imprendibile Unabomber resterà un incubo per gli Stati Uniti fino al 1995 quando, oltre sedici anni di silenzio, cercherà di stabilire i primi contatti con l’esterno, commettendo i primi fatali errori. Lettere, messaggi, fino al giorno in cui, forse stanco della sua solitudine, lancerà un appello preciso: la pubblicazione di un saggio in cambio della promessa di interrompere la sua lunga serie di attentati. La richiesta fu avanzata , con una lettera, ai due maggiori quotidiani americani: il New York Times e la Washington Post. Alla fine del giugno ’95 alle redazioni di New York e di Washington arriva il testo dattiloscritto di Unabomber: sessantadue pagine, spazio uno, seguite da undici cartelle di note, il tutto firmato " FC". Dopo molti ripensamenti (e con l’avvallo dell’Fbi ) i direttori delle due testate decideranno, di comune accordo e dividendosi le spese, di pubblicare il manifesto di Unabomber. Così il 19 settembre 1995, in un inserto speciale di sette pagine sulla Washington Post appaiono i 232 paragrafi della Società industriale e il suo futuro. La speranza segreta dei vertici dell’Fbi era che qualcuno leggendo il Manifesto potesse riconoscere lo stile, cogliere qualche segnale, notare una somiglianza con altri saggi, insomma dare qualche suggerimento che potesse portare alla cattura di Unabomber. E così fu. L’aspetto drammatico è che capitò proprio al fratello minore di Kaczynski, David, di avere la spiacevole sensazione di riconoscere nel Manifesto lo stile e le idee di alcuni appunti lasciati da Theodore nella cantina della casa di famiglia. Così, dopo qualche ripensamento, decise di informare dei suoi dubbi un avvocato. In pochi giorni venne contattata l’Fbi che dopo alcune indagini decise di procedere all’arresto di Theodore John Kaczynski. La vicenda, in realtà ha dei contorni poco chiari. E a complicare le cose c’è anche una taglia da un milione di dollari promessa dalle autorità per la cattura del terrorista. Il Manifesto di Unabomber è un testo complesso, articolato, corredato persino di un diagramma. Un saggio che tradisce la formazione accademica dell’autore. Ma anche un saggio sul quale la critica e gli esperti si divideranno presto. Per molti il manifesto è spazzatura, niente più che idee vecchie e rielaborate, di nessuna utilità. Un testo noioso frutto della follia di un assassino. Per altri giornalisti e studiosi, soprattutto europei, il testo non può essere considerato soltanto questo. C’è dell’altro. In un caso e nell’altro poche parole, analisi rapide, frasi che non nascondono l’imbarazzo di commettere il pensiero di un terrorista. Eppure il Manifesto di Unabomber supera questo sbarramento. E su Internet si inaugurano immediatamente numerosi Forum per discuterne idee e limiti. In America, la casa editrice Jolly Roger Press di Berkeley giunge persino a stampare una sorta di edizione critica del saggio. Facendolo precedere da uno scrupoloso lavoro di verifiche e confronti con le versioni riprodotte integralmente sui siti Internet, ma in particolare con la prima versione pubblicata dalla Washington Post il 19 settembre 95, quindi il testo uscito sull’Oakland Tribune il 21 settembre e quello del 22 settembre sul San Francisco Chronicle. Nonostante il silenzio ufficiale di critici e criminologi lo studioso americano Kirkpatrik sale osservò che "i dibattiti televisivi, le lettere di lettori, i siti Internet "stavano a dimostrare che sono in molti a comprendere e a condividere gli obiettivi di Unabomber, contro le tecnologie portatrici di destabilizzazione sociale, di disgregazione economica e di distruzione dell’ambiente". Mentre la rivista New York arriva a spiegare: "E Pluribus Unabomber: c’è un po’ di Unabomber in ciascuno di noi". Unabomber non si limita a contestare il mondo in cui viviamo, ma lo rifiuta totalmente, senza appello. Ammette che è ormai impossibile riformare il sistema industrial-tecnologico e soprattutto che "la restrizione della libertà è un fenomeno inevitabile nella società industriale”. Il messaggio di Unabomber è perentorio: le nuove tecnologie stanno distruggendo l’uomo. "La rivoluzione industriale e le sue conseguenze sono state un disastro per la razza umana -scrive nel primo paragrafo- Esse hanno incrementato a dismisura l’aspettativa di vita di coloro che vivono in paesi sviluppati ma hanno destabilizzato la società, reso la vita insignificante, assoggettato gli esseri umani a trattamenti indegni, diffuso sofferenze psicologiche (nel terzo mondo anche fisiche), inflitto danni notevoli al mondo naturale. "E aggiunge più avanti: "Il sistema per funzionare ha bisogno di scienziati, matematici, ingegneri. Quindi vengono esercitate pressioni sui bambini perché eccellano in questi campi. Ma non è naturale per un adolescente passare la maggior parte del tempo seduto a una scrivania a studiare". Una frase che stride con la giustificazione della violenza, dell’attentato che egli proclama. Probabilmente dietro la vicenda di Unabomber c’è anche il diagramma di un bambino vittima di un violenza intellettuale. Le critiche maggiori si rivolgono verso la casta dei baroni universitari, dei docenti e dei ricercatori al servizio delle grandi multinazionali. Stimati professionisti a libro paga dei dipartimenti della difesa. La critica non risparmia i coccolati scienziati impegnati negli studi di biotecnologia, autori di inquietanti manipolazioni genetiche. L’accusa al mondo accademico sancisce la definitiva rottura di Unabomber con un sistema che aveva già rifiutato molti anni prima. Durissime sono anche le osservazioni rivolte alla "sinistra moderna" americana di cui fa parte la grande maggioranza degli intellettuali universitari. Non c’è in questo atteggiamento di Unabomber uno schieramento con le ideologie di destra. Anzi, il suo è per quanto possibile un messaggio folle ma a-politico. La sinistra moderna, falsa e cinica, è una massa di uomini apparentemente motivati da nobili principi morali ma in realtà sedotti al potere. E proprio nel "processo del potere" risiede secondo Unabomber il cancro della società. Persi di vista gli obiettivi e i bisogni reali degli individui si concentrano sulla soddisfazione del proprio io, incuranti di tutto il resto, dei veri problemi del pianeta. Unabomber ritorna in maniera quasi ossessiva sulla perdita di potere dell’individuo. E’ un problema che lo tormenta. Spiega, argomenta, sottolinea Unabomber, nel magma che produce emergono ogni tanto bagliori di grande lucidità. Così quando parlano dei problemi che affliggono l’uomo contemporaneo si affida a un lungo elenco che non richiede commenti: " Noia, demoralizzazione, bassa auto-stima, sentimenti di inferiorità, disfattismo, depressione. Ansia, sensi di colpa, frustrazione, ostilità, abuso di bambini e di coniugi, edonismo insaziabile, comportamenti sessuali abnormi, disordini del sonno, disordini nell’alimentazione eccetera. E’ un uomo triste quello che Unabomber descrive. Un uomo sconfitto e rassegnato a vivere in un mondo che lentamente lo uccide. Per assurdo Unabomber intravede la sua unica speranza di sopravvivenza nel rifiuto totale dell’attuale società. Risponde al vento di morte con altre morti, con le sue bombe spietate. Anch’egli sa che è una strada impraticabile. Sa nella sua lucida follia, che la forza del progresso è travolgente, inarrestabile. Che non ci sarà bomba capace di arrestarlo. Unabomber sa di essere un terrorista uno sconfitto. Come dice l’irritante Vladimir al signor Verloca nel capolavoro di Joseph Conrad, L’Agente segreto – libro a cui Unabomber si è ispirato per i suoi attentati - L’atto dimostrativo deve dirigersi contro la cultura, contro la scienza. Ma non ogni scienza si presta allo scopo. L’attentato deve avere tutta l’assurdità rivoltante di una gratuita bestemmia. Poiché il vostro mezzo di espressione sono le bombe, veramente espressiva sarebbe una bomba lanciata nella matematica pura. Ma questo è impossibile.

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